'에바그리우스'와 그의 저작 '안티레티코스'에 관한 이탈리아어 논문입니다. 최근 이리저리 세계적으로 많이 연구되는 교부입니다.
INTRODUZIONE
La tentazione è una situazione ben conosciuta da tutti gli esseri umani. Tante volte nelle
nostre giornate siamo esposti a momenti di prova in cui camminiamo su un filo di rasoio cercando
di stare in piedi, mentre i nostri desideri e impulsi ci spingerebbero verso l’abisso apertosi accanto a
noi. Benché l’humour popolare possa dire che “il miglior modo di superare la tentazione è quello di
caderci dentro”, l’insegnamento e l’esempio di Cristo invece ci urgono a resistere al peccato. E in
questa lotta non siamo provvisti di armi efficaci.
Sapevano di tutto ciò anche i primi monaci, i padri del deserto egiziano i quali, vivendo
nella solitudine, hanno sviluppato una profondissima sensibilità alle dinamiche umane interiori. Essi,
cercando di vivere profondamente il loro impegno battesimale di rinunciare al male, non solo hanno
analizzato le mozioni dell’anima umana per combattere meglio contro le insidie dei demoni, nemici
della salvezza dell’uomo, ma sono riusciti a vedere nella tentazione una prova permessa e voluta da
Dio che rende più forte il discepolo di Cristo. Come dice il grande Antonio, padre dei monaci:
«Togli la tentazione e nessuno si salverà».
Il libro che il lettore tiene in mano non è altro, in fin dei conti, che un manuale per quelli che
sono desiderosi di intraprendere la lotta cristiana quotidiana contro le tentazioni, contro i cattivi
pensieri che ci assalgono incessantemente, e in tale lotta si mettono all’ascolto di un monaco di
tempi remoti, un padre spirituale di gran formato, una delle figure più originali e più determinanti
della storia della spiritualità: di Evagrio Pontico. Egli, nel suo libro intitolato Antirretikos cioè
«libro delle repliche» ci invita a seguire l’esempio di Cristo che nel momento della tentazione ha
risposto al diavolo con le parole della Sacra Scrittura. Essendo tale opera il primo scritto evagriano
tradotto in lingua portoghese riterrei opportuno introdurre il lettore brevemente alla vita e
all’insegnamento di questa figura importante della letteratura cristiana antica prima di dire qualche
parola sul libro e sul metodo che esso contiene.
1. Vita di Evagrio
1.1 Il Ponto e la Cappadocia
Evagrio nasce nel 345 nella cittadina di Ibora situata in una delle province dell’Asia Minore
settentrionale, chiamata Ponto. L’abitato che si estende alle sponde del fiume Lycus non dista molto
da Annesi, località in cui si trovano le tenute della famiglia di Basilio il Grande ed i cui cittadini
hanno dei rapporti di amicizia con gli iboresi. Questa connessione con i cappadoci è di importanza
decisiva nella vita di Evagrio fin dall’inizio. Il fatto che suo padre sia stato corepiscopo, ossia
chierico che assume una parte del lavoro del vescovo nella campagna, lascia pensare che la famiglia
di Evagrio sia stata fra le più influenti della città. Il giovane segue i suoi studi probabilmente a
Cesarea, capitale della regione, famosa per le sue scuole, dove riceve una formazione eccellente
soprattutto nel campo della filosofia, della matematica e della retorica1.
Secondo alcuni manoscritti il padre di Evagrio sarebbe stato ordinato vescovo dalle mani di
Basilio stesso2. In ogni caso, dopo l’anno 370 egli appartiene alla giurisdizione del santo che da
quell’anno occupa la sede episcopale di Cesarea in Cappadocia. È dunque, con buone probabilità, a
causa del padre che il grande Basilio presta attenzione al giovane talentuoso e lo assume al suo
clero in qualità di lettore. Degli anni successivi non abbiamo notizie dalle fonti. È evidente, però,
che la personalità del grande vescovo lascia una profonda impressione nell’anima del giovane
Evagrio il quale chiamerà più tardi Basilio «la colonna della verità»3. Niente allude al fatto che il
lettore pontico in questi anni sia monaco: non ci sono indizi che lascino pensare ad una sua
1 Cf. W. LACKNER, «Zur profanen Bildung des Euagrios Pontikos».
2 Cf. E. AMÉLINEAU, De Historia Lausiaca, 106; C. BUTLER, The Lausiac History of Palladius II, LXXXV ss.
3 Gn 45, (A. e C. GUILLAUMONT, 178). Ai testi evagriani citati ci riferiamo nelle note sempre con il nome dell’editore e
col numero delle pagine della versione originale indicata nella Bibliografia.
1
appartenenza alla fraternità basiliana. É invece nella vicinanza del grande cappadoce che egli
comincia a leggere le opere di Origene acquistando così un modo di interpretare le scritture tipico
della scuola alessandrina. Questo incontro con Origene marca non solo il percorso della sua intera
vita, bensì anche la sorte futura dei suoi scritti.
1.3 Costantinopoli
Basilio il Grande muore il 1 gennaio 379. Sarà forse questo «l’avvenimento improvviso» che
suscita una tempesta di pensieri nel cuore del giovane Evagrio e lo spinge a lasciare la sua terra
natale, come scrive lo stesso Evagrio nella sua Epistula fidei, opera che fra i suoi scritti è
cronologicamente la prima. Dopo un girovagare che può durare alcuni mesi, si desta in lui il
desiderio «per i dogmi divini e per la filosofia a loro proposito»4, un desiderio che lo induce ad
andare alla capitale dell’impero, Costantinopoli. Qui trova Gregorio Nazianzeno, il quale da alcuni
mesi si sta prendendo cura della piccola comunità nicena in un mare di ariani. Nel loro incontro
Evagrio si rende conto che nel vescovo può trovare una vera guida nella sua ricerca: può scoprire in
lui la «la bocca di Cristo».
Il vescovo che, a causa della violenza degli ariani, sta passando un momento molto difficile,
ordina diacono Evagrio. Così egli diventa membro del cerchio dei discepoli del Teologo, fra i quali
troviamo in quei mesi anche il giovane Girolamo. Dal testamento di Gregorio, scritto il 31 maggio
381, risulta molto chiaramente come gli sia stato prezioso l’aiuto prestato da Evagrio nel rafforzare
la posizione della fede ortodossa contro gli ariani che in quei giorni reggevano la città. «Al diacono
Evagrio il quale ha condiviso con me molte delle mie tribolazioni e preoccupazioni, e mi ha
assicurato della sua dedizione in ogni circostanza, esprimo la mia gratitudine davanti a Dio e
davanti agli uomini»5. La buona formazione teologica, il fascino personale e le doti retoriche del
giovane chierico, infatti, hanno giocato un ruolo importante nella vicenda, alla fine della quale
l’imperatore Teodosio ha fatto prevalere l’ortodossia contro gli ariani nel 380. Il rapporto
amichevole fra il vescovo e il suo diacono, fra il maestro e il suo discepolo è testimoniato in
particolare nell’epistolario di entrambi. L’influsso della teologia di Gregorio sulle idee di Evagrio, è,
invece, rintracciabile in tutti i suoi scritti.
Troviamo, poi, il diacono talentuoso al secondo concilio ecumenico a Costantinopoli nel 381,
inizialmente presieduto da Gregorio. A causa della situazione della politica ecclesiale, questi è però
costretto a rinunciare alla sua sede vescovile e in giugno lascia la capitale. Evagrio rimane accanto
al successore Nettario, il quale, diventando vescovo da catecumeno, ha ben poca dimestichezza con
le pratiche ecclesiastiche. Grazie alle sue capacità retoriche e alla sua erudizione teologica, la
personalità di Evagrio «rifiorisce» nei dibattiti conciliari e, secondo il racconto di Palladio, il
Pontico, sempre elegante ed imponente, diventa come una vera e propria stella fra i predicatori della
città, apprezzato non solo dai fedeli entusiastici dell’ortodossia, ma anche dalle donne6. Succede
così che egli deve rendersi conto dell’interessamento non celato nei suoi confronti della moglie di
uno degli ufficiali più importanti della città. La nobildonna tenta di tutto per legare a sé il giovane
chierico che invano cerca di liberarsi: l’affetto che egli stesso prova lo tiene incatenato. Ad Evagrio
aspettano giorni terribili: oltre alla frustrazione per la sua propria debolezza appaiono davanti ai
suoi occhi lo scandalo, l’esultanza degli avversari della vera fede nonché l’ombra minacciosa della
vendetta del marito geloso e potente. Le sue tribolazioni cessano grazie ad un sogno. Egli sogna
d’essere gettato in prigione dalla polizia con delle catene al collo e alle mani senza saperne il
motivo. Pensa subito d’essere arrestato per l’intervento del marito della donna. Mentre altri detenuti
sono sottoposti alla tortura ed egli deve aspettare il suo turno in una fila di quaranta prigionieri, si
avvicina a lui un angelo assumendo le sembianze di un amico. Quando Evagrio gli racconta le
presumibili ragioni della sua situazione preoccupante e condivide con lui la paura del tribunale
4 Ep fid 1, (PATRUCCO, 87).
5 PG 37, 393B.
6 Historia Lausiaca (in seguito HL) 38, 2, (BARTELINK, 194).
2
corrotto, l’amico gli consiglia di lasciare la città immediatamente. Il diacono inguaiato giura,
dunque, sul vangelo di partire il giorno seguente, se liberato dalla situazione angosciante. Dopo il
giuramento si sveglia e, fedele al voto, anche se fatto in sogno, prende i suoi beni e, lasciando
Costantinopoli, sale sulla prima nave per Gerusalemme.
1.4 Gerusalemme
Dopo questa sua seconda e non ultima fuga nella primavera dell’anno 382 Evagrio approda,
quindi, a Gerusalemme. Come è probabile supporre, questa sua fuga repentina dalla capitale
coincide con la sua scelta per la vita monastica. Ciò spiegherebbe anche perché egli non torni nella
sua patria o in Cappadocia da Gregorio, ma piuttosto proprio in Palestina, che in questi anni sta
diventando sempre più attraente per gli stranieri, ricercatori della vita ascetica. A tale gruppo
appartiene Melania l’anziana, una vedova ricchissima, proveniente dalla Hispania. Alcuni anni
prima, arrivando da Roma, ella ha fondato un monastero doppio sul Monte degli Ulivi insieme a
Rufino. Sarà lei a dare ospitalità al diacono pontico. La vita claustrale potrebbe essere un aiuto
efficace perché Evagrio possa crescere nella sua decisione appena presa, eppure non succede così.
Nella comunità di Rufino si sta svolgendo un’intensa attività intellettuale: i monaci copiano testi,
mentre il coltissimo Rufino, che ha studiato grammatica a Roma e durante il suo soggiorno di sei
anni ad Alessandria ha imparato l’interpretazione delle Scritture ai piedi del grande Didimo 7 ,
insegna nella scuola del monastero. In questo ambiente emerge di nuovo in Evagrio l’intellectuel
mondano e sia il suo abito che il suo parlare rivelano lo stato vacillante, diviso della sua anima.
Mentre egli si sta consumando di nascosto nelle sue lotte interiori, lo coglie una malattia misteriosa
che con una febbre alta lo costringe in letto per sei mesi. Melania, squisita ma energica, alla fine
riesce ad indovinare la causa psicologica dell’ardore del corpo. Rispondendo alla sua domanda
delicata Evagrio le racconta le sue vicende costantinopolitane e le rivela il voto che ha pronunciato
nel momento della sua salvezza. Per Melania sembra ovvio che l’unica via della guarigione del
giovane è la fedeltà alla decisione presa e quindi gli consiglia di impegnarsi definitivamente nella
vita monastica eremitica. Quando Evagrio acconsente, la sua febbre passa in pochi giorni. Dopo la
sua guarigione totale, il giorno di Pasqua dell’anno 383 nella presenza di Melania egli riceve l’abito
monastico dalle mani di Rufino8 . Rinunciando contemporaneamente a tutti i suoi beni egli parte,
questa volta con meno fretta, per il viaggio verso una terra conosciuta e ammirata da Melania e
Rufino, la culla della vita monastica eremitica, verso l’Egitto.
1.5 Egitto
È probabile che Evagrio arrivi ad Alessandria e, accogliendo il suggerimento di Rufino, non
manchi l’occasione di visitare, su una isola nei pressi della città, Didimo il cieco, rappresentane
della teologia ed esegesi alessandrine. Da lì, poi, prosegue verso Nitria che dista circa cinquanta
chilometri e, secondo l’usanza dell’epoca, ci rimane per due anni con lo scopo di imparare la vita
anacoretica dagli anziani del posto. Dopo questi due anni di una specie di noviziato può ritirarsi alle
Celle, una colonia eremitica, situata all’interno del deserto, riservata soltanto a quelli che hanno
acquistato una certa esperienza della vita solitaria. Evagrio vi rimane quattordici anni, fino alla fine
della sua vita9.
Per un giovane che arriva nel deserto è di importanza capitale trovare un maestro, un eremita
saggio che lo possa introdurre alla vita anacoretica. Evagrio capita in Egitto nel momento giusto: gli
si presenta la possibilità di conoscere i grandi padri della seconda generazione, i discepoli dei
pionieri della vita monastica. Fra questi troviamo il fondatore della comunità di Scete, Macario di
Egitto, detto il Grande, il quale, secondo la tradizione, ebbe come maestro lo stesso Antonio, padre
7 Cf. TYRANNIUS RUFINUS, Apologia contra Hieronymum, II, 11, (SIMONETTI, 92).
8 Evagrio stesso ricorda l’evento un una sua lettera: Ep 22, (W. FRANKENBERG, 580).
9 HL 38,9-10, (BARTELINK, 198-200).
3
di tutti i monaci. Evagrio, soprattutto nei primi anni del suo soggiorno a Nitria, fino alla morte di
Macario, avvenuta nel 390, frequenta il vegliardo che abita a quaranta chilometri da lui. Egli lo
ritiene suo maestro e lo chiama, paragonandolo a Paolo e a Gregorio il Teologo, «il vaso di
elezione». Nella vita quotidiana delle Celle, invece, egli trova sostegno da un altro Macario,
sacerdote mite e di vita santa della colonia eremitica, il quale per la distinzione riceve dalla posterità
l’appellativo di «cittadino» o «alessandrino».
Accanto ai due Macario il diacono pontico può contare sull’aiuto dei monaci che
appartenevano al circolo degli amici di Melania e Rufino. È possibile supporre che Melania stessa
abbia affidato il suo protetto ad un suo parente, l’ispanico Albino in cui Evagrio trova un vero
amico di fiducia. Il Pontico stabilisce presto rapporti di amicizia anche con il virtuoso ed erudito
Ammonio, discepolo di Pambo, a sua volta compagno di Ammone, fondatore di Nitria. Ammonio,
proveniente da Alessandria insieme ai suoi fratelli, Dioscoro, Eutimio e Eusebio è noto di essere
ammiratore di Origene: non solo legge e conosce le opere del grande maestro, ma ne diffonde anche
gli insegnamenti. A causa della loro statura questi quattro fratelli sono chiamati «i fratelli lunghi». È
molto probabile che a causa della sua formazione e del suo modo di vedere teologico, Evagrio fin
dal principio appartenga al loro cerchio chiamato da altri «origenista», anzi, in breve tempo ne
assume un ruolo di guida. Ne dà testimonianza Palladio il quale, riferendosi a tale gruppo, parla
semplicemente della «comunità di Evagrio»10.
Al di fuori dei suoi maestri e amici, il diacono Evagrio nel deserto tiene rapporti anche con
altri eremiti famosi. Egli stesso racconta di un suo viaggio fatto in compagnia di Ammonio durante
il quale essi vanno a visitare il veggente di Tebaide, Giovanni di Licopoli, grande oracolo dell’epoca,
tenuto in grande stima perfino dall’imperatore11. Da lui Evagrio aspetta chiarimento sui suoi dubbi
circa la luce contemplata durante il tempo della preghiera. Un’altra domanda che lo mette in
cammino verso Scete verte sul fallimento di molti monaci ferventi nella vita ascetica ma poco
attenti alla contemplazione. Questa volta egli viaggia con Albino e la risposta è attesa da Pafnuzio
Cefala12 . In fine, dagli apoftegmi veniamo informati che Evagrio è in contatto con il famoso
Arsenio, proveniente, come lui, da una famiglia di alto livello sociale e conoscitore delle lettere
classiche13.
La vita quotidiana nel deserto è costituita dal continuo esercizio di lavoro e preghiera
ininterrotta14 . Questo ritmo viene infranto solo dalle liturgie comunitarie di sabato e domenica,
nonché dalla visita degli ospiti. Evagrio, in modo simile ai circa seicento anachoreti cellioti, vive in
una capanna situata a una certa distanza dalle altre in modo tale che gli eremiti non si disturbino
l’un l’altro. La casetta è circondata da un muro, le stanze sono organizzate attorno ad un silenzioso
cortile interno. Una stanza serve per la preghiera, altre per l’accoglienza degli ospiti che Evagrio,
secondo la vita copta, riceve in numero di cinque o sei al giorno15. I doni ricevuti dai visitatori
vengono gestiti da un economo. Secondo quanto riferisce Palladio, il diacono, che viene da una vita
comoda, raffinata e lussuosa, mangia una sola volta al giorno consumando una libbra di pane con un
poco di olio, di cui un sestiere gli basta per tre mesi. Per quattordici anni egli non mangia né
verdura né cibi cotti, ma quando, verso la fine della sua vita, il suo stomaco non regge più questo
regime di vita, sostituisce il pane con legumi cotti e con brodo. Evagrio passa la maggior parte della
notte sveglio, durante il giorno invece interrompe il suo lavoro regolarmente per alzarsi a pregare.
Secondo Palladio questo avviene ben cento volte. Per il proprio sostentamento lavora come copista,
10 HL 35,3, (BARTELINK, 168).
11 Ant VI, 16, (FRANKENBERG, 521).
12 HL 47,3, (BARTELINK, 226 ss).
13
Arsenio 5 (l’allocutore anonimo nella versione greca originalmente è stato Evagrio), L. MORTARI, Vita e detti dei
padri del deserto, 95.
14
La vita delle comunità monastiche dell’epoca in Egitto viene descritta con molti dettagli da: L. REGNAULT, La vie
quotidienne des Pères du désert en Egypte au IVe siècle.
15 Cf. E. AMÉLINEAU, De Historia Lausiaca, 113-115.
4
trascrive i libri della Bibbia per commissione avendo imparato forse a Gerusalemme la calligrafia
dei caratteri chiamati ossirinchi16.
1.6 Gli ultimi anni
Sotto la guida dei maestri del deserto, grazie alla sua dura ascesi, da greco elegante e viziato
che era, Evagrio diventa un padre mite e comprensivo con i suoi discepoli ma che non conosce
compromessi per ciò che riguarda la sua vita eremitica. Fra i suoi figli spirituali conosciamo
Palladio, futuro vescovo di Ellenopoli in Bitinia e Eracleide di Cipro che sarà ordinato vescovo di
Efeso da Giovanni Crisostomo stesso.
Negli ultimi anni della sua vita Evagrio svolge un’attività da scrittore, apprezzata da molti dei
suoi amici e discepoli. Le sue opere tramandate a noi sono molto variegate per quanto riguarda sia il
genere letterario che il contenuto17. La trilogia costituita dal Trattato pratico, Gnostikos e Capitoli
gnostici è il primo tentativo di offrire una dottrina sistematica che riesce ad abbracciare l’intera vita
monastica unendo l’insegnamento dei padri del deserto con elementi della filosofia greca. I cento
capitoli del Trattato pratico forniscono insegnamenti sulla fase ascetica della vita del monaco, le
cinquanta sentenze dello Gnostikos cercano di dare direttive al padre spirituale, divenuto libero
dalle passioni, mentre le sei centurie dei Capitoli gnostici introducono alle diverse fasi e alle
problematiche della conoscenza di Dio, della contemplazione. Una delle sue opere più popolari e
qui edita, l’Antirrhetikos non è altro, come si vedrà, che una raccolta di citazioni bibliche utilizzabili
dai monaci come arma contro i demoni nelle varie situazioni della loro vita. Dei demoni e dei
pensieri suggeriti da loro trattano le opere intitolate Sui pensieri e Sugli otto spiriti della malvagità.
Dello stesso tema possiamo leggere nel Trattato a Eulogio e nel testo breve del I vizi opposti alle
virtù. Sono indirizzate a delle monache e dei monaci cenobiti le seguenti due raccolte di sentenze
metriche: Esortazione ad una vergine e Ai monaci nei cenobi e nelle comunità. É altrettanto
popolare il trattato Capitoli sulla preghiera, tramandato sotto il nome di san Nilo di Ancira, una
vera perla della Filocalia. Si trova nella Filocalia anche l’opuscolo intitolato I fondamenti della vita
monastica. Fra le sue opere esegetiche conosciamo i commentari al libro dei Proverbi, al libro
dell’Ecclesiaste e ai Salmi, scritti in forma di brevi scolia. Altre opere dello stesso genere sono
purtroppo perse. Nel corpo delle sue 64 lettere conosciute, troviamo la Lettera della fede, una sua
opera giovanile, attribuita per lungo tempo a Basilio, e la Lettera a Melania, un piccolo scritto sui
gradi sublimi della conoscenza.
Benché, secondo la testimonianza delle sue lettere, la vita nel deserto non sia mai stata facile
per lui, Evagrio non lascia più la solitudine dell’eremo per propria iniziativa, eccezion fatta per le
eventuali visite, di cui abbiamo fatto già menzione, e per una fuga. Quest’ultima fuga della sua vita,
durante la quale egli viene accolto di nuovo in Palestina, avviene perché Teofilo, l’arcivescovo di
Alessandria, vuole ordinarlo vescovo della città di Thmuis18.
Sugli ultimi anni del diacono pontico non gravano soltanto i dolori della malattia. La tensione
fra i vari gruppi del deserto egiziano, la politica imprevedibile di Teofilo e la controversia che si sta
svolgendo attorno all’insegnamento di Origene nella non lontana Palestina sono presagi inquietanti,
nuvole che si accumulano sopra la fraternità di Evagrio. La tempesta, però, scoppia solo dopo la sua
morte. Con un corpo sfinito dalla malattia, ma con l’anima libera dalle passioni, egli muore il
giorno dell’Epifania dell’anno 399, all’età di 54 anni, circondato dai suoi discepoli19.
16 HL 38,10, (BARTELINK, 200).
17 Per le edizioni delle opere vedi Bibliografia.
18 Cf. SOCRATES SCHOLASTICUS, Historia Ecclesiastica IV,23, (PG 67, 521A).
19 HL 38,13, (BARTELINK, 202).
5
1.7 L’eredità evagriana
La tempesta non si fa aspettare molto. La campagna, condotta alcuni anni prima in Palestina
da Epifanio di Salamina e da Girolamo contro gli ammiratori di Origene, conosciuta dalla
storiografia come prima controversia origenista, a partire dalla Pasqua di 399, ha delle conseguenze
serie anche in Egitto.
Come abbiamo già accennato, Evagrio apparteneva ad un gruppo di asceti chiamati dai loro
avversari origenisti, poiché attingevano volentieri ai tesori della teologia alessandrina, cioè alle
opere di Clemente, di Origene e di Didimo. Per motivi non del tutto chiari in alcuni monaci sorge
una resistenza forte contro il gruppo dei loro compagni origenisti, in cui troviamo sia monaci colti
che semplici, sia stranieri che egiziani. All’inizio il patriarca Teofilo ha una certa simpatia verso il
cerchio di Evagrio, ordina vescovo Dioscoro, uno dei fratelli lunghi, mentre prende accanto a sé ad
Alessandria Eutimio e Eusebio. Anche Isidoro, persona di sua fiducia, gestore delle finanze del
patriarcato, proviene da questo gruppo.
Al centro del conflitto scoppiato nel 399 sta l’affermazione della Genesi secondo la quale Dio
creò l’uomo alla sua immagine. I monaci che coltivano l’esegesi origeniana la interpretano in
chiave allegorica e di conseguenza, insegnano che non si deve immaginare Dio con tratti umani.
Poiché nel Dio immateriale non ci può essere nessuna forma, l’«immagine» della Genesi si riferisce
solamente all’anima. I loro avversari invece difendono accoratamente il senso letterale del testo
biblico. Dapprima, nella lettera circolare della Pasqua del 399 Teofilo rigetta fortemente
l’antropomorfismo degli avversari di Origene. Come reazione, una massa furiosa di monaci
antropomorfiti assale la capitale e non si sdegna di usare metodi violenti per far valere la propria
opinione. Dopo questi eventi tristi l’arcivescovo cambia opinione e in un sinodo improvvisato
condanna Origene e i suoi seguaci. Con l’aiuto di forze militari organizza anche una incursione
saccheggiando e distruggendo le celle monastiche del deserto. Sembra poco verosimile che il
patriarca, astutissimo e molto capace nel far sentire il suo potere sui monaci sia stato spaventato
dalla folla dei manifestanti. È più verosimile spiegare l’episodio ricordando un precedente conflitto
personale di cui racconta Palladio in un’altra opera20. Il vecchio e venerabile Isidoro, menzionato
sopra, aveva tenuto nascosto al vescovo l’esistenza di una somma considerevole, offerta come dono
per i poveri, temendo che Teofilo «il litomane», come lo chiama Palladio, spendesse i soldi dei
poveri per la costruzione di qualche edificio. Questo episodio segna la fine del loro rapporto già
teso a causa di un altro incidente, quando in un processo Isidoro non aveva testimoniato come
voleva il vescovo. In modo abominevole, assumendo un falso testimone, Teofilo accusa Isidoro di
atti di omosessualità e lo caccia dall’Egitto. É probabile che gli avvenimenti tragici dell’anno 400
siano legati a questa vendetta personale di Teofilo.
Gli origenisti dunque fuggono; nella persecuzione sono coinvolti circa trecento monaci. Molti
di loro vanno in Palestina, Ammonio e i suoi fratelli invece finiscono a Costantinopoli dove li
accoglie Giovanni Crisostomo. Non possiamo occuparci più in dettaglio dell’andamento ulteriore
delle loro vicende: basterà accennare alla fine del conflitto in Egitto. I monaci accusati di eresia non
devono porre nessun giuramento e gli esiliati possono tornare in Egitto nel 40321. L’epoca d’oro del
monachesimo, però, con il conflitto e con la distruzione delle celle giunge al suo termine.
Il nome di Evagrio non viene menzionato né dai protagonisti né dai futuri storiografi della
vicenda nefasta. Dalle sue lettere, però, possiamo concludere che egli stesso ha avvertito le tensioni
precedenti al conflitto e le ha vissute con sofferenza. Nonostante la conclusione pacifica della
controversia cade un’ombra su Origene e su quelli che sono stati considerati origenisti cioè su
Evagrio, Palladio, Ammonio e molti altri i cui nomi sono spesso avvolti nel silenzio della posterità.
Ciò spiega perché nell’Apophtegmata Patrum, che rispecchia una situazione posteriore al conflitto,
cerchiamo spesso invano tali personaggi.
20 Dial VI,24, (MALINGREY, 128-129).
21 Dial XVII, (MALINGREY, 330 ss).
6
Per l’eredità di Evagrio la controversia attorno a Origene diventa fatale 150 anni più tardi.
Nella Palestina del sesto secolo le tensioni locali fra diversi gruppi monastici, la politica
ecclesiastica e la situazione politica dell’impero porta ad un intreccio molto complesso di interessi
nei cui dettagli non possiamo entrare, ma che segnerà la sorte dei scritti evagriani. Un gruppo di
monaci riesce a persuadere l’imperatore Giustiniano che nel 553, alla vigilia del concilio ecumenico
Costantinopolitano II, egli condanni Origene come eretico e, insieme a lui, scritti di altri autori che
contengono certe sue dottrine22 . Fra questi testi insieme agli scritti di Didimo il cieco troviamo
anche la raccolta di testi compilata da frasi evagriane estrapolate in modo arbitrario dal contesto.
L’anatema, dunque, alla fine colpisce anche Evagrio dichiarando le sue opere eterodosse. La
decisione del pre-sinodo viene considerata successivamente (ed erroneamente) come parte dei
decreti del concilio ecumenico, ed i concili dei secoli futuri, pensando di solo ripetere una decisione
già fatta, in realtà diffondono una condanna che in partenza non aveva il suo fondamento
nell’autorità del concilio.
Da questo momento in poi la storia dell’influsso di Evagrio continua in forma anonima, quasi
sotterranea, da dove, come un forte torrente, nutre in modo spesso avventuroso numerosi fiumi sia
in Oriente che in Occidente. Benché una parte delle sue opere è andata perduta, altre sono rimaste
solo in traduzione siriaca, giorgiana, copta o araba, altre invece sono state tramandate sotto il nome
di qualcun’altro, Evagrio rimane uno dei personaggi più importanti della storia della spiritualità
cristiana. Il suo insegnamento influisce sullo sviluppo della dottrina e della terminologia della vita
spirituale in Occidente grazie a Cassiano e alle traduzioni di Rufino e Gennaio. Evagrio continua ad
essere un maestro vivente della tradizione anche in Oriente attraverso Isacco il Siro, i padri di Gaza
e Massimo il Confessore.
2. Insegnamento evagriano
La dottrina di Evagrio Pontico, che ha come oggetto «il lungo viaggio dell’intelletto verso
Dio» 23 è un edificio costruito con grande cura da pietre scelte. Tali pietre, materia prima della
costruzione si possono reperire nella biografia appena raccontata: infanzia spensierata, studi di alto
livello, filosofia neoplatonica e stoica, teologia cappadoce, il maestro Gregorio Nazianzeno, un
concilio ecumenico, doti retoriche, amore appassionato, attaccamento alle vesti eleganti,
inclinazione alla vanità, sensibilità spirituale, fragilità corporea, amicizia con Rufino e Melania,
teologia e l’esegesi alessandrine, il deserto, i due Macario, i «fratelli lunghi», discepoli,
responsabilità paterna. Da questi elementi della sua vita si costruisce quell’insegnamento originale e
unico nel suo genere che approfondisce, tematizza ed inserisce in un quadro filosofico-teologico
l’esperienza cristiana dei padri del deserto egiziano e, perciò, può essere ritenuto pioniere nella
letteratura monastica.
Per esporre la sua complessa dottrina sulla vita cristiana Evagrio sceglie un genere letterario
particolare. Egli chiude volentieri i suoi pensieri in detti concisi, nei cosiddetti kefalaia, che prende
in prestito come tali dalla filosofia e dalla letteratura sapienziale biblica. Non di meno, nella
letteratura del cristianesimo antico, ciò appare come una novità. La compattezza dei detti offre la
possibilità di meditare, di scoprire le profondità del pensiero al lettore desideroso di imparare, ma,
allo stesso tempo, rende spesso difficile ricostruire l’idea originale dell’autore. Perciò, colui che si
avventura nella presentazione dell’insegnamento del Pontico, deve essere molto attento ad
esaminare bene le affermazioni dei capitoli evagriani, formulati spesso appositamente in modo
oscuro. Studiando bene questi capitoli, come mattoni dell’edificio del suo insegnamento non
dobbiamo creare sistemi laddove non li crea l’autore, ma, allo stesso tempo bisogna scorgere i
principali elementi architettonici, i livelli, i ponti e le soluzioni raffinate di una struttura a volte
geniale24.
22
Per uno studio approfondito della seconda controversia origenista vedi D. HOMBERGEN, The Second Origenist
Controversy.
23
„The Mind’s Long Journey to the Holy Trinity” – Jeremy Driscoll ha dato questo titolo alla nuova edizione della sua
traduzione inglese di Ad monachos.
7
2.1 Intelletti in anima e corpo (cosmologia e antropologia)
Prima di presentare la dottrina del Pontico sulla vita cristiana e sulle sue parti dobbiamo
abbozzare sinteticamente la sua visione sulla cosmologia e sull’uomo. Solo alla luce di ciò che egli
ritiene sulla creazione e sulla caduta riusciremo a capire le sue idee circa la situazione attuale
dell’uomo che si mette in cammino verso il suo Dio.
Seguendo Origene, Evagrio insegna che Dio creò degli esseri intellettuali (logikav), i quali
sussistevano nella qualità di intelletto puro (nouÖ") e avevano come scopo la conoscenza essenziale
della Trinità non numerica25. Questi intelletti furono creati eguali, partecipavano alla conoscenza di
e all’unione con Dio in misura uguale. Per motivo del loro libero arbitrio, però, raffreddarono
perdendo lo zelo nella contemplazione della conoscenza essenziale di Dio e, decadendo, perdettero
in tal modo anche l’unione con Dio26. A seconda dei gradi delle loro cadute vennero alla luce delle
differenze fra di loro: questo comporta non solo lo sgretolamento dell’unità originale della
creazione, bensì anche la disintegrazione degli intelletti. L’intelletto decaduto diviene un’anima
composta (yuchv) a cui si aggiunge un corpo27. Dio, però, non abbandona le sue creature: il nuovo
stato è, in realtà, frutto della sua provvidenza. Questo stato secondario che viene stabilito per mezzo
del Verbo di Dio diventa come condizione di ritorno all’unità e conoscenza essenziale originali
perduti. Gli intelletti capitati in anime, dunque, ricevono un corpo che corrisponde al grado della
loro caduta, e vengono posti in mondi diversi. Così nasce il mondo degli angeli, il mondo degli
uomini e quello dei demoni. I tre gruppi dispongono anche di corpi diversi. Tutti sono composti di
fuoco, terra, aria e acqua, ma in una mescolanza diversa e, in modo corrispondente a tale fatto,
diverse potenze spirituali hanno la predominanza in loro28. Evagrio chiama «giudizio» (krivsi") la
nascita dei corpi e dei mondi29, mentre l’insieme del processo che dà la possibilità di reintegrazione
all’intelletto decaduto viene chiamato Provvidenza (provnoia)30.
Prima di trattare l’antropologia che deriva da una tale cosmologia, è importante notare che
tutto ciò non è identificabile automaticamente con la dottrina, ritenuta eretica, della preesistenza
delle anime. Evagrio ribadisce che, quando parliamo del rapporto esistente fra l’intelletto e Dio, i
nomi, lo spazio e il tempo perdono il loro significato 31 . L’espressione evagriana di «prima
creazione», dunque, non vuol dire temporalità, ma soltanto la priorità metafisica dell’intelletto
creato all’immagine del Dio immateriale. Non è per caso che Evagrio, al contrario di Origene, non
parla mai di «seconda creazione». L’espressione «ente secondario»32 del vocabolario evagriano si
riferisce solamente al fatto che lo stato attuale dell’uomo, composto e sottomesso a ulteriori
frammentazioni, non corrisponde all’intenzione originale di Dio, e perciò è secondario.
In questo stato umano secondario, dunque, l’intelletto invece della sua unità originaria,
sussiste in un’anima composta da tre parti. Sarà, perciò, fondamentale nell’antropologia di Evagrio
l’insegnamento platonico dell’anima tripartita. Alla parte razionale (logistikovn, più raramente
hJgemonikovn) si aggiunge la parte irascibile (qumov" o qumikovn) e la parte concupiscibile (ejpiqumiva).
Le ultime due insieme vengono chiamate da Evagrio parte passionale (paqhtikovn) 33 . La parte
24
Riassunti più o meno lunghi e con degli approcci diversi circa la dottrina evagriana si possono trovare quasi da tutti
gli studiosi. Noi, seguendo maggiormente J. DRISCOLL, (The Ad Monachos of Evagrius Ponticus, 6-17) cerchiamo di
presentarla in una forma sintetica prescindendo da estese citazioni. Nelle note segnaliamo solo i testi ai quali ci
riferiamo.
25 Cf. KG I, 89.
26 Cf. KG I, 49.
27 Cf. Ep Mel 6.
28 Cf. KG I, 68.
29 Cf. KG III, 38; VI, 43.
30 Cf. KG V, 23-24; VI, 59.
31 Cf. KG II, 87; VI, 9.
32 Cf. KG I, 50.52.61; II, 64.
33 Cf. Pr 38, 49, 78, 84.
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razionale, quale estensione dell’intelletto è in rapporto col corpo per mezzo della parte passionale.
Le varie parti dell’anima sono esposte a diverse tentazioni e, una volta purificate, nascono in esse
delle virtù, corrispondenti alla loro indole. Quando le tre parti dell’anima funzionano secondo
natura, ossia secondo la loro destinazione originaria, esse possono servire come strumento per far
ritornare l’intelletto alla perduta conoscenza essenziale.
2.2 Il lungo viaggio dell’intelletto alla Trinità (etica, fisica e metafisica)
La comprensione della situazione attuale dell’uomo composto costituisce la base della
divisione della vita spirituale. Il ritorno dell’intelletto alla conoscenza essenziale ha due tappe o,
meglio, aspetti fondamentali. Per mezzo della vita pratica (praktikhv) si purifica la parte passionale
dell’anima mentre, per mezzo della conoscenza (gnwÖsi"), la parte razionale riacquista la
conoscenza. La vita cristiana, dunque, secondo Evagrio non è altro che lotta per ottenere la
liberazione dai peccati legati alla parte passionale e dall’ignoranza legata alla parte razionale,
mentre si stabiliscono le virtù nella prima e la seconda viene riempita dalla conoscenza. Secondo
questo insegnamento nessuno raggiunge la conoscenza ottenuta per mezzo della contemplazione se
prima non si purifica dalle passioni. Si può progredire nella conoscenza di Dio solo quando l’uomo
è capace di amare veramente, ossia ha ottenuto lo scopo della vita pratica.
2.2.1 La vita pratica
Lo scopo della vita pratica è, dunque, la purificazione, l’uso secondo natura delle diverse parti
dell’anima. Ciò vuol dire fondamentalmente una lotta contro i demoni che, attaccando l’uomo, gli
suggeriscono pensieri cattivi (logismoiv). Tali pensieri, salendo per la parte passionale dell’anima,
raggiungono la parte razionale, offuscano l’intelletto e, se la volontà acconsente, l’uomo commette
il peccato34. I vari pensieri, che hanno una successione ben precisa, sono classificati da Evagrio in
otto gruppi generici, otto gruppi che daranno la struttura anche dell’Antirrhetikos35.
Il compito del monaco pratico sta nell’imparare a gestire la parte concupiscibile della sua
anima per mezzo del digiuno e della veglia, nel mitigare la parte irascibile con l’aiuto
dell’elemosina e del servizio fraterno. Ottenuto in tal modo lo stato in cui queste facoltà operano
secondo natura, la prima desidererà solo la virtù e la seconda lotterà per essa36. Quando, dopo la
vittoria sugli otto pensieri, nella parte concupiscibile si stabilisce la virtù della temperanza e della
continenza, nella parte irascibile invece la fortezza e la pazienza, allora la parte razionale acquista
senno e sapienza e l’intera anima viene riempita di giustizia37 . Questo stato in cui le tre parti
funzionano secondo loro natura e in modo armonioso, viene chiamato impassibilità (ajpavqeia). In
questo stato l’intelletto non viene disturbato dai pensieri e dalle passioni che ne derivano. Esso è
capace della vera carità che, secondo Evagrio, è la condizione sine qua non della contemplazione e
il vero scopo della vita pratica. Davanti all’anima ormai impassibile comincia a risplendere la luce
del proprio intelletto, e, avendo in sé la carità come condizione della conoscenza, essa comincia a
scoprire le ragioni (lovgoi) degli esseri divenuti entrando così nella seconda tappa della vita
spirituale, nel reame della contemplazione.
2.2.2 La conoscenza
Il viaggio dell’anima divenuta impassibile continua attraverso diverse tappe finché arriva alla
conoscenza essenziale della Santa Trinità, scopo della vita cristiana secondo Evagrio. Per l’opera
della Provvidenza divina l’intelletto, passando per i gradini della conoscenza ritorna al suo stato
originale, corrispondente alla sua dignità, perduta per la sua rilassatezza38. Il Pontico distingue fra i
34 Cf. Pr 74-75.
35 Cf. Pr 6, Octo spir, Ant.
36 Cf. Pr 86.
37 Cf. Pr 89.
38 Cf. KG I, 27.70.
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vari livelli della contemplazione. All’interno della conoscenza troviamo due grandi divisioni:
Evagrio chiama tutti i tipi di conoscenza inferiori alla conoscenza della Trinità «contemplazione
naturale» (fusikhv qeoriva) o «contemplazione degli esseri divenuti» (qeoriva twÖn gegonovtwn),
mentre riserva la parola «teologia» (qeologiva) per indicare la conoscenza di Dio stesso. La prima è
il reame del Logos, «il regno dei cieli», mentre la seconda è «il regno di Dio» stesso39.
La contemplazione naturale non significa ammirazione dei fenomeni della natura, anche se
non la esclude. Essa indica la scoperta delle ragioni (lovgoi) per le quali il mondo presente fu creato
dal Logos. Queste ragioni, come segnali nascosti nel mondo, convincono l’intelletto che lo scopo di
ogni cosa creata è di essere guida per lui verso la conoscenza di Dio40 . Davanti all’intelletto che
gradualmente sta rendendo la sua propria vista più chiara e acuta i lovgoi scoperti negli esseri
corporei, nei mondi e nei secoli rivelano un universo immateriale che si trova al di là del campo
della realtà, raggiungibile ai sensi41. Questo mondo, apertosi al di là della materia, ha le sue proprie
ragioni le quali, a loro volta, aspettano di essere rivelate. I lovgoi del mondo immateriale, infine,
conducono l’intelletto verso la scoperta della sua propria natura creata e immateriale, il suo proprio
essere all’immagine di Dio, conoscenze che lo rendono preparato alla contemplazione della Trinità
immateriale, perfettamente una, non numerica42.
Le tappe di questo progresso vengono indicate da Evagrio con un linguaggio abbastanza
tecnico e coerente. L’attività dell’intelletto, dunque, che cerca le ragioni del mondo materiale si
chiama la «contemplazione o conoscenza dei corporei». Dopo viene la «contemplazione dei mondi
e degli eoni», e colui il quale ne scopre i lovgoi arriva alla «conoscenza delle ragioni del giudizio».
L’intelletto, arrivato a tale conoscenza, comprende che il giudizio nel contesto più ampio è solo
passaggio verso la conoscenza originale, e si rivelano davanti ai suoi occhi «le ragioni della
provvidenza». Tutti i livelli finora menzionati vengono chiamati insieme «contemplazione naturale
seconda» 43 , in quanto l’intelletto si confronta con le ragioni che sono legate alla condizione
secondaria, postlapsale del mondo creato. Dopo di ciò si delinea davanti ad esso il mondo
immateriale, passaggio chiamato la «contemplazione degli incorporei», più raramente la
«conoscenza degli esseri razionali». A questo livello l’intelletto scopre il suo proprio stato creato,
immateriale, originale e ciò lo rende capace alla contemplazione della Trinità. Questo ultimo livello
viene chiamato «contemplazione naturale prima»44. Non rimane altro, poi, che la contemplazione
della Trinità, la Teologia, che indica la conoscenza essenziale, unitaria e immateriale di Dio nella
carità. In questo stato cessano le differenze fra il corpo, l’anima e l’intelletto e viene ristabilita
l’unità perfetta, originale45.
Dopo la presentazione sintetica delle due parti della vita cristiana secondo Evagrio vogliamo
insistere sul fatto che in questo insegnamento la vita pratica e la gnosi non vanno interpretate come
due fasi successive, temporaneamente separabili l’una dall’altra. Davanti all’anima che lotta con i
pensieri ci deve essere sempre la prospettiva della conoscenza, mentre colui che giunge
all’impassibilità e progredisce nei gradini della conoscenza non può lasciare indietro la pratica
ascetica. Prassi e contemplazione sono piuttosto due aspetti complementari del viaggio
dell’intelletto verso Dio fra i quali nessuno deve essere trascurato a scapito dell’altro. In questa
prospettiva, l’insegnamento di Evagrio assomiglia piuttosto ad un spiraglio in cui il vettore
principale conduce dai peccati e dall’ignoranza verso la Trinità a cui si aggiunge un altro
movimento continuo e oscillante fra pratica e contemplazione.
39 Cf. Pr 1-3; KG II, 2.4.
40 Cf. KG III, 57; VI, 2.
41 Cf. KG I, 45-45; II, 10.
42 A questo processo, ai livelli della contemplazione vedi: KG II, 23.35; III, 17.19.21; IV, 84.86; V, 12; VI, 75.
43 Cf. KG II, 20; III, 26.
44 Cf. KG II, 13; III, 24.
45 Cf. Ep Mel 5; KG III, 15.
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3. L’Antirrhetikos, libro delle repliche
Dietro la parola ajntivrrhsi", che vuol dire «replica», «confutazione» sta il concetto della lotta
contro i demoni e i pensieri cattivi da essi suggeriti, un combattimento tipico della prima parte
dell’arco appena abbozzato della vita cristiana. All’interno del combattimento spirituale della vita
pratica tale parola si riferisce ad un metodo ben preciso, all’uso dei brani della Scrittura con lo
scopo di far tacere l’avversario. Il metodo, benché non inventato come tale da Evagrio, è legato al
suo nome nella letteratura monastica posteriore grazie alla sua opera molto popolare che il lettore
tiene in mano e all’importanza che egli dà a questo tipo di arma spirituale.
3.1 Il libro
L’Antirrhetikos, «il libro delle repliche» occupa un posto privilegiato fra le opere evagriane
che godevano sempre di grande popolarità nell’antichità. Di esso, purtroppo, non rimane nessun
frammento nella lingua originale greca: un fatto dovuto alle controversie menzionate sopra. Della
sua vasta diffusione nel mondo monastico antico, però, ci convincono non solo i scrittori del V.
secolo come Socrate e Gennadio46, ma anche le numerose traduzioni. Oggi l’opera è raggiungibile
in siriaco e armeno, mentre frammenti in lingua sogdiana attestano della conoscenza
dell’Antirrhetikos da parte di monaci, abitanti di oasi lontane.
Il libro nasce negli anni ’90 del IV secolo su commissione di un certo abba Lucio di cui
conosciamo la lettera scritta a Evagrio. Lucio nel suo scritto chiede al Pontico, ormai maestro
conosciuto di vita spirituale, di «comporre un trattato chiaro che spieghi tutta la malizia dei demoni,
che di propria iniziativa intervengono sulla via del monachesimo» e di inviarglielo affinché anche
lui e i suoi possano «scacciare via senza fatica i loro perfidi attacchi»47. La risposta di Evagrio è
conservata in siriaco in una sua lettera, nella quale egli raccomanda la sua opera al committente con
le parole seguenti:
Ti ho mandato il trattato dell’Antirrhetikos, perché tu lo legga, lo corregga, e lo completi in ciò che è
manchevole, nel caso non avessimo descritto precisamente l’uno o l’altro dei pensieri contaminati e
non avessimo trovato la confutazione appropriata ad esso opposta48.
In ambedue le lettere appare dunque una doppia esigenza: da una parte descrivere e spiegare i
pensieri insidiosi dei demoni, nemici del monaco e, dall’altra parte indicarne il rimedio, il modo in
cui ci si libera dalla loro trappola. Sarà questo doppio criterio – pensiero e risposta – a plasmare la
struttura del manuale che Evagrio scrive e manda al committente. L’Antirrhetikos, dopo un lungo
prologo, contiene infatti poco meno di cinquecento paragrafi più o meno brevi nei quali viene
descritto dapprima accuratamente un pensiero demoniaco e poi viene riportato una citazione biblica
come suo antidoto. Il materiale del libro è organizzato secondo gli otto pensieri generici, che
abbiamo incontrato poch’anzi: i capitoli seguono l’ordine dei logismoiv che troviamo nel Trattato
pratico.
Le citazioni bibliche provengono dai libri sia del Antico che del Nuovo Testamento. Vengono
citati i libri della Septuaginta secondo il canone alessandrino, mentre del Nuovo Testamento
troviamo testi presi da tutti i libri canonici a esclusione di Tit, 2Pt, 2Gv, 3Gv e Ap. Ciò non vuol
dire, però, che Evagrio non considerava questi libri parte del canone. Nelle traduzioni di cui
disponiamo, i brani biblici non sempre corrispondono al testo del Septuaginta che di certo fu
riportato nell’originale greco: i traduttori li sostituirono con la versione più diffusa della Bibbia
nella loro lingua, in siriaco con quella della Pescitta e in armeno con la traduzione vecchia armena.
46
SOCRATES SCHOLASTICUS, Historia Ecclesiastica IV, 23, PG 67,516B. GENNADIUS, Scriptores ecclesiastici XI, PL
58, 1066-1067.
47
I. HAUSHERR, Études de spiritualité orientale, 101. A. GUILLAUMONT è restio nei confronti dell’identificazione di
Lucio come richiedente dell’opera, egli ritiene la teoria di I. Hausherr come accettabile ma non di certezza assoluta. Cf.
Un philosophe au désert. Évagre le Pontique, 108.
48 Ep 4, 1, (FRANKENBERG, 568).
11
Per quanto riguarda il genere dell’opera, va notata la sua l’originalità. Non si possono trovare
scritti che potevano servire da modello per Evagrio né nella letteratura cristiana né in quella pagana.
L’Antirrhetikos rimane anche, come tale, quasi unica nella letteratura monastica: sembra di avere un
solo imitatore, l’abba Isaia, che nel V. secolo compose un trattato con lo stesso titolo, ma di qualità
molto inferiore.
3.2 Il metodo
Il nome stesso del metodo proviene dalla Bibbia. Nel testo greco dell’Ecclesiaste 8,11
leggiamo
infatti
che
«siccome
la
sentenza
contro
un’azione
cattiva
(ajntivrrhsi" ajpo; twÖn poiouvntwn to; ponhro;n) non si esegue prontamente, il cuore dei figli degli
uomini è pieno della voglia di fare il male». Evagrio cita questo passo nel prologo del suo trattato49.
Nell’ajntivrrhsi" si tratta, dunque, di una sentenza, una parola data contro l’azione cattiva, la natura
della quale viene precisata poco prima nel brano evagriano: «Quando i demoni combattono con noi
e lanciano su di noi i loro dardi, noi diamo loro una risposta a partire dalle Scritture, perché non
rimangano in noi i pensieri impuri e non rendano schiava l’anima con un peccato che si realizza nei
fatti»50.
Per capire bene quest’affermazione di Evagrio e lo scopo immediato del metodo, dobbiamo
chiarire il meccanismo dei pensieri cattivi: i demoni introducono nell’intelletto immagini di oggetti
o di persone, che nell’anima suscitano le passioni. Ciò succede o per la natura appassionata delle
immagini o per la durata della presenza di tali oggetti nell’intelletto. Quando l’arbitrio dell’anima
passibile acconsente al piacere nascosto nell’immagine, viene commesso il peccato. Lo scopo
dell’ajntivrrhsi", dunque, è l’eliminazione dall’intelletto dell’immagine, della parola, del pensiero
suggeriti dai demoni, utilizzando una parola biblica a tal scopo. Evagrio insegna che allo stesso
momento un solo pensiero può occupare l’intelletto umano, e dunque i pensieri tagliano (tevmnousin)
l’un l’altro, come un chiodo caccia un altro51. La citazione biblica contrapposta al pensiero tentatore
in questo senso non fa altro che «tagliare», sostituire le immagini o le parole insidiose che i demoni
introducono nell’anima con immagini o parole tratte dalla storia della salvezza. Più velocemente
troviamo la parola che porta in sé il pensiero buono, adatta a cacciare quello cattivo, più sicura è la
vittoria e meno minacciante il peccato.
Questo metodo come arma nella lotta spirituale, attestato in vari passaggi anche al di fuori
dell’Antirrhetikos,52 non fu inventato da Evagrio. Le sue allusioni ad altri padri del deserto nel suo
libro nonché le fonti del monachesimo egiziano primitivo ci convincono che nel caso
dell’ajntivrrhsi" si tratta di un patrimonio comune dei primi monaci. Essi, a loro volta, potevano
ereditarla dalla tradizione ebraica in cui – secondo varie testimonianze – testi della Scrittura,
specialmente i salmi furono utilizzati come esorcismi contro i demoni53. Evagrio stesso cerca di
ricondurre il metodo della replica a Davide ponendolo come modello in una sua lettera:
L’intelletto deve essere senza paura davanti al suo avversario, come mostra il beato David,
riproducendo voci come dalla bocca dei demoni e in seguito confutandole. Quando infatti i demoni
dicono: Quando morirà e passerà il suo nome? (Sal 40,6), allora egli dice anche: Non morirò, ma vivrò
e annuncerò le opere e del Signore (Sal 117,17). E di nuovo, quando i demoni dicono: Fuggi e dimora
sui monti come passero (Sal 10,1), egli dice anche: Poiché lui è il mio Dio e il mio Salvatore, il mio
forte rifugio, non vacillerò (Sal 61,3). Vedi dunque le voci che si oppongono l’una all’altra e ama la
vittoria, imita David e fa’ attenzione a te stesso!54
49 Cf. Ant prol. 3.
50 Ant prol. 2, (FRANKENBERG, 472).
51 Cf. Mal cog 7.
52
Cf. Pr 42 (indirizzare parole piene di ira contro i demoni prima della preghiera), Eul 19 (citare Sal 69,4 contro
pensieri di vanagloria), Ep 25, 2, etc.
53 A. GUILLAUMONT, Un philosophe au désert. Évagre le Pontique, 250. L’autore si riferisce a testi del Qumran e alla
Lettera a Marcellino attribuita ad Atanasio.
54 Ep 11, 2, (FRANKENBERG, 574).
12
Vediamo come Evagrio trova nei salmi il modello per quel dialogo che succede nella lotta del
monaco con i demoni. Ma ancora più forte dell’esempio di Davide è quello di Cristo nel cui
atteggiamento durante la tentazione il Pontico trova il fondamento vero e proprio del metodo della
replica. Cristo, infatti, «oltre a tutto il suo insegnamento, ci ha donato ciò che lui stesso ha fatto
quando è stato tentato da Satana»55, cioè ha insegnato come vincere il tentatore con le parole della
Scrittura. La scena della tentazione di Cristo, spesso ricordata nei scritti evagriani, diventa così
paradigmatica non soltanto per l’identificazione dei pensieri più pericolosi (gola, avarizia,
vanagloria),56 ma anche per il metodo dell’ajntivrrhsi".
3.3 Una scuola di preghiera biblica
Avendo chiaro il senso del metodo e avendo qualche spunto circa la sua origine si potrebbe
chiedere se non si tratti di una certa strumentalizzazione della Parola di Dio. A primo sguardo infatti
può sembrare che usare la Scrittura come arma nel combattimento spirituale contraddica la natura
del Verbo in quanto, degradandolo al livello di un puro mezzo, l’uomo può perdersi nella replica
senza progredire verso Dio. Secondo la testimonianza di un frammento ritrovato in arabo anche
Evagrio ha fatto i conti con un tale pericolo:
Per la maggioranza di noi questo non è un metodo affidabile, perché il malvagio non viene confuso per
mezzo di una parola. Trascorrendo infatti tutto il giorno in un vuoto chiacchiericcio, noi siamo resi
estranei alla conversazione con Dio, dal momento che ci intratteniamo con il nemico57.
Ciò contro cui l’autore mette in guardia non è l’uso stesso del metodo, bensì la sua
degradazione ad un fine a se stesso. Il vero significato dell’ajntivrrhsi" infatti può essere valutato
giustamente solo se la collochiamo in un contesto più ampio.
Tale contesto è la cosiddetta preghiera monologica, attestata da varie fonti nell’ambiente
monastica di Egitto. Il lato negativo della replica ai pensieri cattivi va complimentata dall’uso della
Scrittura come parola positiva che il monaco può rivolgere alla propria anima oppure a Dio in
qualsiasi situazione della sua vita, non soltanto in quella della lotta. L’Antirrhetikos stesso rivela
questa concezione ampia del metodo in quanto, oltre all’incipit solito delle repliche «al pensiero»,
quasi un quarto delle citazioni bibliche è indirizzato all’anima o all’intelletto del monaco.
Quarantaquattro capitoli invece sono indirizzati a Dio e due agli angeli.
L’esercizio di una tale preghiera biblica è possibile solo se il monaco regolarmente ed a ore
fisse legge le Scritture e medita sulle parole ripetendole incessantemente58. In tal modo colui che le
medita, «accumula un tesoro nel cuore»59: nelle varie situazioni della sua giornata può ricorrere a
«brevi e vigorose preghiere» 60 che egli ricava dal tesoro di quei testi della Scrittura che ha
memorizzato. Queste preghiere, spesso molto brevi, dal punto di vista del contenuto corrispondono
alla disposizione spirituale del monaco in quel momento. Evagrio stesso, ispirandosi a 1Tim 2,1,
distingue fra le categorie di orazione (proseuchv), voto (devhsi") e intercessione (e[nteuxi")61.
Troviamo vari esempi di questa preghiera monologica nelle opere del Pontico, come la
bellissima invocazione biblica, grido di aiuto che, secondo lui, il monaco tentato, fra lacrime deve
rivolgere a Dio: «Signore Cristo, forza della mia salvezza (Sal 139,8), porgi a me l’orecchio, vieni
presto a liberarmi. Sii per me un Dio protettore, un luogo di rifugio per salvarmi! (Sal 30,3)»62 .
Molto simile a questa preghiera composta da salmi è la citazione che Evagrio raccomanda
nell’Atirrhetikos a coloro che sono tentati dalla tristezza. «Per l’anima che nel tempo della tristezza
desidera trovare nella preghiera parole spirituali: Non abbandonarmi, Signore mio Dio, non stare
55 Ant prol. 2, (FRANKENBERG, 472).
56 Cf. Ep 39, 3; Mal cog 1.
57 J. MUYLDERMANS, À travers la tradition manuscrite d’Évagre le Pontique, 89.
58 Esercizio di cui troviamo traccia anche negli scritti evagriani. Cf. Ep 4, 3; Virg 4.
59 Eul 19, (PG 79, 1120B).
60 Or 98, (PG 79, 1190A).
61 Sk 28-30, (MUYLDERMANS, 53).
62 Mal cog 34, 19-22, (GÉHIN- GUILLAUMONT, 272).
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lontano da me; accorri in mio aiuto, Signore della mia salvezza (Sal 37,22-23)»63. Evagrio cita gli
stessi versetti in un altro contesto, in cui, scoprendo nella triplice invocazione (Signore, Dio,
Signore) un’allusione alla Trinità, li offre come scuola di contemplazione, come «un’ottima
introduzione (prooivmion) alla preghiera» 64 . Dobbiamo concludere quindi, che l’ajntivrrhsi", se
viene esercitato nel modo giusto, lungi da essere uno sterile ripetere le parole della Scrittura, è un
veicolo importante nel progresso spirituale. Per mezzo di essa il monaco nelle varie situazioni del
suo cammino interiore impara come applicare le parole della Bibbia alla sua vita. Durante la replica
si compie, infatti, il primo e più fondamentale passo dell’esegesi monastica: citando le parole ai
demoni, all’anima o a Dio stesso, l’anacoreta interpreta già il brano in chiave allegorico-esistenziale.
Dietro l’uso della Scrittura nella replica, dunque, si nasconde una visione precisa circa la
Bibbia: le parole, applicate alla situazione attuale del monaco, servono per rendere presente il Logos,
servono come veicoli per il progresso verso Dio. Perciò il libro delle repliche non può essere
considerato come un corpo alieno fra i scritti del Pontico, come fosse una semplice patchwork di
citazioni bibliche non interpretate. Non è vero che «l’Antirrhetikos non presuppone la comprensione
di un altro livello, più interiore di significato» 65. Al contrario, tale lavoro sarebbe inconcepibile
senza l’interiorizzazione della storia della salvezza. Il monaco che prende in mano il libro, già nel
suo prologo si ritrova, quale «guerriero coraggioso e combattente del re vittorioso, Gesù, Cristo»66,
nel bel mezzo della battaglia contro i filistei, i quali vogliono impedire che egli raggiunga la meta
del suo esodo spirituale mentre esce da Egitto e si dirige verso la terra promessa della
contemplazione. Il modo in cui Evagrio usa e interpreta la Scrittura non chiude mai la Parola nella
situazione storica della sua nascita, ma «si apre nello Spirito santo alla sua sempre attuale pienezza
e compimento in Cristo. In un’ulteriore tappa questo “senso mistico” viene trasposto sul piano
personale e così interiorizzato. L’orante entra così personalmente nella pienezza della storia della
salvezza»67.
É solo in questa ottica che la replica può essere efficace ed aperta al progresso. Citare la
Bibbia non basta, lo possono fare anche i demoni, come insegna Evagrio 68 . Se il monaco non
acquista una certa conoscenza di se stesso e dei fenomeni della vita spirituale, invano riporterà le
Parole ispirate, i demoni non lo ascolteranno69. Progredire nella conoscenza di se stessi e della vita
interiore da una parte e progredire nella conoscenza delle Scritture dall’altra: questo doppio filone –
che struttura anche l’Antirrhetikos – nella fase pratica della vita costituisce, dunque, un insieme
organico. Colui che sa aprire le situazioni della sua vita alla Parola di Dio e, allo stesso tempo, sa
leggere la Parola nella luce di una storia che si rende presente e si compie nella sua vita, poco a
poco diventerà capace di dare questa parola ad altri, che hanno meno esperienza, aggiungendo
magari qualche breve commento per l’utilità di coloro che lo ascoltano. Usando come manuale il
libro di Evagrio il lettore non solo può diventare capace di gestire meglio i suoi pensieri, le sue
tentazioni, ma anche di dare una Parola imparata e applicata nella sua vita a coloro che si rivolgono
a lui con i problemi della loro vita. Diventare discepoli e maestri della Parola di Dio: questo è il
cammino che si apre davanti a colui che, seguendo Evagrio, legge, medita e impara l’Antirrhetikos.
IZSÁKBAÁNOSB
MONASTERO SAN MAURIZIO DI BAKONYBÉL(UNGHERIA)
Mail: isacco@freemail.hu
63 Ant IV, 40, (FRANKENBERG, 508).
64 Schol in Ps 37,22 ig citato da G. BUNGE, «Evagrios Pontikos: der Prolog des ’Antirrhetikos’», 105.
65 W. O’LAUGHLIN, «The Bible, the Demons and the Desert: Evaluating the Antirrheticus of Evagrius Ponticus», 202.
66 Ant prol. 4, (FRANKENBERG, 472).
67 G. BUNGE, «Evagrios Pontikos: der Prolog des ’Antirrhetikos’», 81.
68 Cf. Ant V, 13, Schol in Ps 136,3b, Mal cog 33.35, KG VI, 37.
69 Cf. Mal cog 11; 19.
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